Esploriamo la Conoscenza Umana Insieme
- Theosus Balthazar
- 25 apr 2024
- Tempo di lettura: 11 min
Aggiornamento: 29 apr 2024
Mio è il dovere di fare tale premessa:
userò come fonti delle informazioni in termini di "Ufficialità" la fonte enciclopedica libera di internet per eccellenza (Wikipedia), mettendo contestualmente a confronto con altre fonti di informazioni di vario genere e natura e citando queste ultime nei vari post.
CONTRIBUTI AI PERSONAGGI CHE HANNO ARRICCHITO LA CONOSCENZA UMANA
Vorrei iniziare questo viaggio con voi partendo proprio dalle base, come fossimo tutti insieme dei neofiti che si accingono per la prima volta all'esplorazione dei lasciti dei padri nella cultura mondiale.
Partiremo dalle fonti più antiche, il motivo è relativo a tal senso
Trovo che il concetto di Tempo sia fondamentale tenerlo in pausa come significato poiché esso è ed al contempo non è; ed è proprio per tale motivo che troveremo nel "Passato", le conoscenze tali da permetterci di carpire su quali fondamenta è basato il nostro "Presente", così da poterci proiettare nel "Futuro" che altro non aspira al nostro "Presente" riconducendoci al momento.
Breve senso del Tempo in modo concreto:
"Il futuro domani del nostro presente di oggi è e sarà il nostro presente prossimo nonché in un futuro domani a quel domani esso sarà il nostro passato, quel giorno infatti dopodomani sarà il nostro passato, mentre domani il nostro oggi presente sarà il nostro ieri passato, il passato di oggi è il nostro presente di ieri ed era il futuro dell'altro ieri. Ogni momento è presente, passato e futuro tutti insieme, il tempo non è lineare, per cui tutto è qui e ora, tutto è ogni momento, ogni momento è tutto". <<
Delineato che per poter capire il nostro presente di oggi dobbiamo partire col concepire il nostro presente di ieri, iniziamo il viaggio nella conoscenza umana proiettandoci nell'antichità; partiremo prima di tutto da Autori e Personaggi dell'Occidente per poi toccare Autori e Personaggi dell'Oriente.
Questo post ci porterà per cui ad un viaggio nell'esplorazione di tutte le "Branche della Conoscenza" del nostro "Scibile Umano".
...INIZIAMO...
Che cos'è "LO SCIBILE UMANO"?
da Vocabolario Treccani (https://www.treccani.it/vocabolario/scibile/)
scìbile agg. e s. m. [dal lat. tardo scibĭlis, agg., «conoscibile», der. di scire «sapere»]. – 1. agg., ant. o letter. Che si può sapere, conoscibile: chi vorrà asserire, già essersi saputo tutto quello che è al mondo di scibile? (Galilei). 2. s. m. Tutto ciò che può essere appreso e conosciuto dalla mente umana: l’immensità dello sc.; un ingegno esteso a quasi tutti i rami dello sc.; la sera stessa, annunciò a Ida che lui, oramai, sapeva tutto lo sc., e smetteva la scuola (Morante).

da (https://www.scienze-astratte.it/edizioni/lo-scibile-umano-scienze-astratte-scienze-concrete.html)
Il termine Scienza proviene dal latino "scientia", da "sciens, scientis" participio presente di "scire" e significa 'sapere', 'conoscenza', 'cognizione', ovvero 'tutto ciò che si conosce'. La stessa etimologia possiede il termine Scibile, dal latino "scire" e significa 'conoscibile', 'tutto ciò che si può conoscere, sapere, apprendere' (dal Vocabolario della lingua italiana - Zanichelli).
La 'Scienza Concreta' è dominata dalla 'mente concreta', la mente analitica, in cui ha sede l'intelletto razionale, ed è collegata con l'emisfero cerebrale dominante, generalmente il sinistro. La Scienza Concreta si basa sulla conoscenza discriminante della mente (dal latino "mens, mentis" che deriva da "mentiri" ovvero mentire, immaginare, fingere).
La 'Scienza Astratta' è ispirata dalla 'Mente Astratta', in cui ha sede l'Intuizione spirituale, ed è collegata con l'emisfero cerebrale in genere poco usato, generalmente il destro. La Scienza Astratta si basa sulla Conoscenza intuizionale, collegata all'Intuizione, da non confondere con il semplice intuito.
Ma cosa più fondamentale di tutte in questo argomento è:
- Che cos'è la Conoscenza? -
da Wikipedia (https://it.wikipedia.org/wiki/Conoscenza)
Introduzione generale
"Conoscenza" è un termine che può assumere significati diversi a seconda del contesto, ma ha in qualche modo a che fare con i concetti di significato, informazione, istruzione, comunicazione, rappresentazione, apprendimento e stimolo mentale.
In filosofia si descrive spesso la conoscenza come informazione associata all'intenzionalità. Lo studio della conoscenza in filosofia è affidato all'epistemologia (che si interessa della conoscenza come esperienza o scienza ed è quindi orientata ai metodi ed alle condizioni della conoscenza) ed alla gnoseologia (che si ritrova nella tradizione filosofica classica e riguarda i problemi a priori della conoscenza in senso universale).
La conoscenza in filosofia e il problema della giustificazione Lo stesso argomento in dettaglio: Gnoseologia ed Epistemologia.
La contrapposizione tra sensi e intelletto
A grandi linee, nella storia della filosofia occidentale si sono spesso contrapposte (e a volte sovrapposte) due linee di pensiero: coloro che considerano la conoscenza un prodotto della mente e dell'indagine introspettiva, e coloro invece secondo cui la conoscenza deriva unicamente dai sensi, cioè dall'esterno.
Connessa a tale questione è se la conoscenza sia il risultato di meccanismi automatici, o se invece dipenda da un atto creativo del soggetto, che coinvolga in qualche modo la sua libertà.
Pitagora
Tra i primi a contrapporre la conoscenza intellettiva a quella sensoriale fu Pitagora, che faceva del numero e della sapienza matematica l'oggetto principale del conoscere. Da questa contrapposizione scaturì il carattere nascosto della conoscenza, che si riteneva riservata a una cerchia ristretta di iniziati, i soli capaci di comprendere la natura intellettiva della realtà.
In seguito anche la scuola eleatica, in particolare Parmenide, svalutò la conoscenza sensoriale, affermando l'importanza di un sapere dedotto esclusivamente dalla ragione. Un tale sapere però risultava poco accessibile ai più, perché non oggettivabile: dell'Essere infatti si può dire soltanto che esso è, e nient'altro.
Ai pitagorici e agli eleati si contrapposero le teorie atomiste dei seguaci di Democrito, secondo il quale la conoscenza è il frutto di processi meccanici, cioè della combinazione degli atomi che colpendo i nostri organi di senso producono in noi l'apprendimento.
Socrate
Con Socrate la conoscenza acquista una valenza etica, venendo d'ora in poi ricondotta essenzialmente al primato della riflessione individuale. Per Socrate infatti ogni conoscenza è vana se non è ricondotta alla propria autocoscienza, a quella voce dell'anima dotata di consapevolezza, in grado di esaminare criticamente e smascherare il falso sapere dei sofisti, le nozioni "irriflesse" di coloro che si credono sapienti ma in realtà non lo sono. La vera sapienza nasce dunque dal conoscere se stessi; una tale conoscenza però non è insegnabile, né trasmissibile a parole, perché non è una tecnica. Il maestro può solo aiutare l'allievo a partorirla da sé.[5]
Platone e i neoplatonici
Platone seguì gli insegnamenti di Pitagora, Parmenide, e Socrate, tuttavia rivalutando in parte l'esperienza sensibile. I sensi infatti, secondo Platone, servono a risvegliare in noi il ricordo delle idee, ossia di quelle forme universali con cui è stato plasmato il mondo e che ci permettono di conoscerlo. Conoscere significa dunque ricordare: la conoscenza è un processo di reminiscenza di un sapere che giace già all'interno della nostra anima, ed è perciò "innato". L'innatismo della conoscenza è ciò che più contraddistingue il platonismo dall'empirismo.
Con Platone la conoscenza resta un'esperienza dal valore essenzialmente etico, poiché riguarda la decisione dell'anima di accostarsi alla visione eidetica del Bene risvegliandone in sé il ricordo.
Presso il neoplatonismo verrà mantenuta l'idea che la vera conoscenza non è quella che deriva dall'esperienza, come crede il senso comune, ma nasce da una superiore attività intellettiva che ha come oggetto le idee spirituali. La conoscenza è pertanto qualcosa di "nascosto" ai più, che si lasciano abbagliare dagli inganni dei sensi. Questa concezione sarà fatta propria anche da varie correnti neopitagoriche, gnostiche, esoteriche, e magiche, che approderanno alla filosofia rinascimentale. Secondo Giordano Bruno bisogna nascondere la conoscenza alla plebe perché questa non la potrà mai capire, ed è persino rischioso elargirgliela.
Aristotele
Rispetto a Platone, Aristotele aveva ulteriormente rivalutato l'esperienza sensibile, ma come il suo predecessore aveva mantenuto fermo il presupposto secondo cui la conoscenza nasce anzitutto dal soggetto.[6] Una conoscenza che si limiti a recepire le impressioni dei sensi, infatti, è passiva; perché vi sia vera conoscenza occorre che l'intelletto umano svolga un ruolo attivo che gli consenta di andare oltre le particolarità transitorie degli oggetti e di coglierne l'essenza in atto. Il passaggio all'intelletto attivo implica che questo sia capace di pensare se stesso, cioè sia dotato di consapevolezza e libertà, che è la caratteristica fondamentale che distingue l'uomo dagli altri animali.
Aristotele distinse così vari gradi del conoscere: al livello più basso c'è la sensazione, che ha per oggetto entità particolari, mentre a quello più alto c'è l'intuizione intellettuale, capace di "astrarre" l'universale dalle realtà empiriche.[7] Conoscere significa dunque astrarre.
Aristotele fu anche il padre della logica formale, che egli teorizzò nella forma deduttiva del sillogismo. Va precisato però che l'intuizione restava per lui superiore anche a quest'ultimo, perché in grado di fornire quei princìpi di partenza da cui il sillogismo trarrà soltanto delle conclusioni coerenti con le premesse. Essa si trova dunque al vertice della conoscenza, culminando alla fine in un'esperienza contemplativa, tipica di un sapere fine a sé stesso, che per Aristotele rappresentava l'essenza della saggezza.[8] Ritorna così anche in lui il valore etico della conoscenza.
Conoscenza ed esoterismo
Nelle correnti più recenti dell'esoterismo si rileva come nell'epoca attuale, contraddistinta da un approccio individualistico-sperimentale, la conoscenza umana sia maggiormente orientata ad avvalersi del metodo induttivo, mentre nell'età antica e medievale prediligeva quello deduttivo.[15] Questi due procedimenti conoscitivi, contrapposti ma complementari, riproducono la dinamica intercorrente a livello cosmico tra particolare e universale, percezione e concetto, discesa nella materia e risalita allo spirito, come riflesso di una creazione strutturata gerarchicamente in cui vigono relazioni di analogia, cioè rapporti di similitudine o metaforici, tra le sue parti.[16] I filosofi ermetici, in particolare, vedevano nell'analogia lo strumento principe per arrivare a conoscere in chiave unitaria gli aspetti molteplici della natura, essendo questa basata sull'occulta corrispondenza tra macrocosmo e microcosmo, secondo il loro celebre motto «come in alto così in basso».[17]
La tendenza dell'epoca attuale, ribadisce Steiner, è di basarsi quasi esclusivamente sui fatti empirici trascurando la portata oggettiva delle idee, le quali non sono qualcosa di astratto, ma sono costitutive della realtà stessa, modelli spirituali che si sono condensati nei fenomeni sensibili.
«Quando l'uomo si forma un pensiero sulle cose, la sua interiorità si volge dalla forma fisica all'archetipo spirituale delle cose stesse. Il comprendere una data cosa mediante il pensiero è un processo che possiamo paragonare a quello mediante il quale un corpo solido viene dapprima liquefatto nel fuoco, affinché il chimico possa poi studiarlo nella sua forma liquida.» (Rudolf Steiner, Teosofia. Un'introduzione alla conoscenza sovrasensibile del mondo e del destino dell'uomo (1918)[18])
Gnoseologia
La gnoseologia (AFI: /ɲozeoloˈʤia/;[1][2][3] dal greco gnósis, «conoscenza», + lógos, «discorso»),[4] chiamata anche teoria della conoscenza,[5] è quella branca della filosofia che studia la natura della conoscenza. In particolare, così come si è consolidata nell'età moderna ad opera della speculazione filosofica di Kant, la gnoseologia si occupa dell'analisi dei fondamenti, dei limiti e della validità della conoscenza umana, intesa essenzialmente come relazione tra soggetto conoscente e oggetto conosciuto.[6]
Occorre precisare che nell'ambito della cultura anglosassone la teoria della conoscenza è chiamata anche e soprattutto epistemology, laddove in Italia con il termine "epistemologia" si designa essenzialmente quella branca della gnoseologia che si occupa della conoscenza scientifica o, in un senso ancora più specifico, la filosofia della scienza.[7]
Storia
Sebbene le tematiche gnoseologiche abbiano assunto importanza soprattutto a partire dal XVII secolo, in concomitanza con la nascita della scienza moderna, la questione della conoscenza si è posta fin dalle origini della filosofia.
Filosofia antica
Il pensiero classico ha distinto forme diverse di conoscenza, ovvero l'opinione e la scienza, discutendone il valore di verità. Per i filosofi greci l'opinione (δόξα), poiché si fonda sull'esperienza sensibile, è ingannevole e instabile, e quindi si contrappone al vero sapere scientifico. Al contrario la scienza (ἐπιστήμη), essendo fondata sulla ragione, è il modello della conoscenza certa e incorruttibile.[8]
Parmenide per primo svalutò la conoscenza sensoriale, affermando l'importanza di un sapere dedotto esclusivamente dalla ragione. Un tale sapere però risultava non oggettivabile, essendo senza predicato: per Parmenide infatti, dell'Essere si può dire soltanto che esso è, e nient'altro. La gnoseologia parmenidea risulta pertanto totalmente sottomessa all'ontologia, cioè alla dimensione statica dell'essere.[9]
Se con la sofistica ritornò una forma di conoscenza basata esclusivamente sulla doxa, in quanto incentrata sull'eristica indipendentemente da ogni valore di verità,[10] fu quindi Socrate a sollevare per primo, in maniera radicale, il problema gnoseologico, mettendo in discussione le basi e le fondamenta del sapere: cosa sappiamo noi? Chi può dirsi veramente sapiente? Con Socrate ha inizio un'attività maggiormente dinamica del pensiero; egli affermò che la vera conoscenza non ci viene dall'esterno, ma nasce all'interno dell'anima; ragion per cui non è insegnabile. Il maestro può solo aiutare l'allievo a partorirla da sé (arte della maieutica).[11]
Platone seguì le orme di Parmenide e di Socrate, tuttavia rivalutando in parte l'esperienza sensibile. I sensi infatti, secondo Platone, servono a risvegliare in noi il ricordo delle idee, ossia di quelle forme universali con cui è stato plasmato il mondo e che ci permettono di conoscerlo. Conoscere significa dunque ricordare: la conoscenza è un processo di reminiscenza di un sapere che giace già all'interno della nostra anima, ed è perciò "innato". Per Platone, tuttavia, le idee si trovano al di là del processo logico-dialettico, e quindi (come già in Parmenide e Socrate) esse sono difficilmente oggettivabili, essendo accessibili solo per via di intuizione.[12]
Aristotele formalizzò in maniera più precisa e sistematica il processo conoscitivo, da allora rimasto invariato fino all'Ottocento. Rispetto a Platone, Aristotele rivalutò ulteriormente l'esperienza sensibile, e tuttavia, al pari del suo predecessore, manteneva fermo il presupposto secondo cui l'intelletto umano non si limita a recepire passivamente le impressioni sensoriali, ma svolge un ruolo attivo che gli consente di andare oltre le particolarità transitorie degli oggetti e di coglierne l'essenza in atto. Egli distinse così vari gradi del conoscere: al livello più basso c'è la sensazione, che ha per oggetto entità particolari, mentre a quello più alto c'è l'intuizione intellettuale, capace di "astrarre" l'universale dalle realtà empiriche. Conoscere significa quindi astrarre (dal latino ab + trahere, "trarre da").
Aristotele fu anche il padre della logica formale, che egli teorizzò nella forma deduttiva del sillogismo. La razionalità sillogistica procede logicamente dall'universale al particolare, ma non può in alcun modo garantire la verità dei princìpi primi, dato che proprio da questi deve partire la deduzione. Ecco allora che il compito di stabilire la validità e l'universalità delle premesse, da cui il sillogismo trarrà soltanto delle conclusioni necessariamente coerenti, spetta all'intelletto intuitivo, il quale si avvale in proposito dell'induzione (epagoghé). L'induzione, tuttavia, a differenza del significato che ha assunto presso l'epistemologia contemporanea (che le attribuisce un carattere di consequenzialità logica), non ha per Aristotele la capacità di approdare alle essenze, ma è soltanto un grado preparatorio di avviamento verso l'intuizione intellettuale. Il passaggio dal particolare all'universale non costituisce per lui alcuna forma di "logica induttiva". La logica aristotelica è solo deduttiva:
«[...] principio di tutto è l'essenza: dall'essenza, infatti, partono i sillogismi.» (Aristotele - Metafisica VII, 9, 1034a, 30-31)
«Colui che definisce, allora, come potrà dunque provare [...] l'essenza? [...] non si può dire che il definire qualcosa consista nello sviluppare un'induzione attraverso i singoli casi manifesti, stabilendo cioè che l'oggetto nella sua totalità deve comportarsi in un certo modo [...] Chi sviluppa un'induzione, infatti, non prova cos'è un oggetto, ma mostra che esso è, oppure che non è. In realtà, non si proverà certo l'essenza con la sensazione, né la si mostrerà con un dito [...] oltre a ciò, pare che l'essenza di un oggetto non possa venir conosciuta né mediante un'espressione definitoria, né mediante dimostrazione.» (Aristotele - Analitici secondi II, 7, 92a-92b)
E pur rinnegando l'innatismo di Platone, egli afferma che «la sensazione in atto ha per oggetto cose particolari, mentre la scienza ha per oggetto gli universali e questi sono, in certo senso, nell'anima stessa.» (Aristotele, Sull'anima, II, V, 417b)
Da questi passi emerge come i princìpi primi su cui Aristotele intende fondare la conoscenza non sono ricavabili dall'esperienza, né da un ragionamento dimostrativo. Come già in Platone, soltanto l'intuizione intellettuale può accedervi: questa rimane per lui il vertice più alto della conoscenza, essendo non solo in grado di dare un fondamento universale e oggettivo ai sillogismi, ma comportando anche un'esperienza contemplativa, tipica di un sapere fine a sé stesso, che per Aristotele costituiva la quintessenza della saggezza.[13]
Riassumendo dunque il quadro della filosofia antica, si può dire che laddove Platone considerava la gnoseologia un ambito limitato, perché basato su un sapere interiorizzato non trasmissibile a parole (si notino gli echi della maieutica socratica), Aristotele individuava questo limite nel fatto che la conoscenza non può prescindere dall'esperienza. In entrambi comunque la gnoseologia resta sottomessa (ora in un modo, ora in un altro) alla sfera ontologica e intuitiva.
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